Si può usare il cibo per prendersi cura dei nostri bisogni relazionali ed emotivi.
È mia opinione che la maggior parte delle compulsioni alimentari siano radicate in questo legame, ed è per questo che la guarigione dall’eccesso di cibo non è una questione di forza di volontà o cambiamento di abitudine. L’eccesso di cibo può rivelarsi davvero.. “appiccicoso” e legarsi al nostro modo di essere tanto che sia difficile scollarsene.

Il percorso di guarigione, dal mio punto di vista, non riguarda il cambiamento del comportamento, ma un cambiamento nella relazione – dove qualcosa di diverso dal cibo incontra i nostri bisogni emotivi, relazionali e persino spirituali.

 “Dovremmo smettere di usare la parola dipendenza e passare a una nuova parola: legame “.
– Peter Cohen

Una psicologa che stimo moltissimo mi diceva frequentemente, “il nostro sistema di attaccamento si attiva anche se non c’è niente cui attaccarci: di fatto ci attacchiamo a tutto, anche al nulla”.
Siamo sempre alla ricerca di connessione e legami ed è innato negli esseri umani . Viviamo e prosperiamo in una rete di connessione, relazione e appartenenza – “al riparo l’uno dell’altro”, come descrive la psicologa clinica Mary Pipher.
Al di là del desiderio di connessione del nostro cuore, la relazione è anche l’utero stesso della crescita umana. È la maniera in cui ci sveliamo, come diventiamo e come impariamo a guarire. In termini di formazione, la relazione sostiene la nostra crescita e il nostro sviluppo umano, passo dopo passo.
Ma se è vero questo cioè che la relazione è il grembo della crescita, è proprio nei legami che possiamo ferire ed essere feriti, a causa della vulnerabilità che è intrinseca nel metterci in relazione.
Questo paradosso è spesso affermato in questo modo: “Siamo feriti nella relazione e siamo guariti nella relazione”.

Man mano che accumuliamo ferite relazionali e sperimentiamo separazione, dolore e perdita, il nostro sistema di percezione e reazione spinge a sentirci più “in pericolo” che a mostarci il vantaggio delle connessioni con gli altri: perchè l’obiettivo primario del nostro cervello è che siamo al sicuro, non che siamo felici. La felicità è un obiettivo perseguibile solo quando il cervello si convince che non stiamo correndo pericoli.

Il nostro sviluppo nell’”utero-relazionale” può rimanere “bloccato” proprio dalle ferite inferte nei legami.
Finiamo per ritrovarci ad allontanarci proprio da quelle cose – connessione, amore e appartenenza – che desideriamo.
Eppure questo non significa che il nostro bisogno di connessione scompaia: cerca semplicemente un’altra espressione.
Può emergere nella spinta a essere il migliore o nella ricerca del successo, nel lavoro eccessivo, nel perfezionismo, nella ricerca delle comodità materiali, e persino nell’eccessiva cura per gli altri.

Questa spinta può anche trovare radici in sostanze o cose che speriamo colmino il vuoto della disconnessione e il dolore della separazione, come il cibo.

In quest’ottica, il cibo è una relazione sostitutiva, un rimpiazzo della connessione umana e di tutto il nutrimento, il supporto, l’empatia, la gioia e il piacere che la relazione può portare.
Piuttosto che legare con gli altri, non riuscendo a legare adeguatamente con noi stessi, ci leghiamo al cibo.

Perché il cibo?

Il cibo porta sensazioni di sollievo temporaneo (pensate alla cioccolata nei momenti di tristezza!), calore, gioia e relax ma senza il costo della relazione : non ha la capacità di ferirci nel modo in cui le persone possono. Il cibo è una forma di legame in cui siamo meno vulnerabili, ci sentiamo sicuri e protetti.
Ogni volta che ci sentiamo caricati di pesi emotivi, più di quanto riusciamo a gestire e sopportare , il nostro corpo si attiva e reagisce mettendo in atto una risposta di irrigidimento, come se fossimo in trappola.

Le risposte del corpo possono manifestarsi in diversi modi: ansia, paura, senso di intorpidimento (stanchezza cronica), evitamento, tentativo di distrazione/procrastinazione, esagerazioni compulsive o autocritica e autobiasimo come risposta di “attacco”.

La strategia che riusciamo a mettere in atto somiglia certamente a trovare modi per accudirci, e riportarci in un luogo dove possiamo percepire calma e tranquillità. In particolare, come esseri relazionali, cerchiamo sicurezza e “contenimento” in “luoghi” emotivi reali o metaforici, in cui possiamo lasciarci andare ricevere supporto sia internamente che esternamente.

Ma a volte semplicemente, questi luoghi non ci sono..
Hai mai letto la frase “torna dove ti sei sentito amato”?…ecco, delle volte non sai proprio dove tornare; delle volte ancora chiedere aiuto agli altri ci fa sentire fragili o ci imbarazza troppo.

Delle volte la nostra cultura, totalmente focalizzata su individualismo, ricerca del successo, e fiducia in se stessi (devo farcela da sola!) rende ai nostri occhi imbarazzanti i bisogni emotivi e relazionali.

Questo può creare un conflitto interiore in cui ci vergogniamo persino di avere bisogno o di chiedere aiuto.
Ma come dicevamo prima non signifca che la nostra tensione verso un legame scompaia, anzi: si trasforma, assume altre sembianze spingendoci a cercare sostituti dei legami, come il cibo .

Guardiamo al cibo come una madre – per tutti i significati legati al nutrimento materno: si prende cura, lenisce, da sollievo.
Quindi, nei momenti in cui ci sentiamo di non farcela o proviamo paura, panico o dolore, cerchiamo protezione, sicurezza e legami… ma li cerchiamo nel posto più sicuro che possiamo immaginare: il cibo. Il cibo diventa tua madre, il tuo amico, il tuo conforto. Il cibo ti fa compagnia.
Il cibo ci calma quando siamo soli o angosciati, o affrontiamo più dolore o solitudine di quanto possiamo sopportare.
Il cibo è il luogo in cui ci rilassiamo, ci connettiamo e ci sentiamo al sicuro.
In questo modo, quando “il cibo è nostra madre”, finiamo per legarci ad esso emotivamente, così come potremmo legarci con le persone, con una squadra sportiva preferita, o con una città che amiamo.
Purtroppo, non dura a lungo: spesso il “subito dopo” è un disastro. Ci sentiamo peggio, sorgono vergogna, senso di colpa o autocritica; velocemente ci rivoltiamo contro noi stessi proprio perchè abbiamo usato questa modalità per confortarci.
Perché ho così tante difficoltà a rilassarmi senza cibo?
Perché non riesco a smettere di mangiare quando so benissimo che mi fa soffrire e posso fare di meglio?

Sei sensibile ed emotiva? Se già normalmente l’essere sensibili (per chi lo è) può essere percepito come uno svantaggio, in questo specifico caso la situazione può risultarti particolarmente difficile: infatti quando diamo un alto valore alla consapevolezza di sé (come le persone emotive e sensibili fanno) possiamo sentirci frustrati per l’essere intrappolati in qualcosa che sappiamo che non funziona – ma che ci tiene nella sua morsa.
Doppiamente colpevoli: per l’eccesso di cibo, per il modo in cui siamo duri con noi stessi per l’eccesso di cibo.
Qualcuno si vanta di fare abbuffate?
Non ci si vanta frequentemente neanche delle “abbuffate di shopping”..ma di quelle di cibo, davvero mai. Per questo spesso man mano che il senso di colpa aumenta, la vergogna sale e può portarti a nascondere il tuo legame col cibo e isolarti dagli altri.

E torniamo alla persona sensibile ed emotiva.. di nuovo, quel valore alto che attribuisci alle relazioni può portarti a pensare che il tuo problema col cibo ti stia impedendo di esserci per gli altri, di stare nelle relazioni amorevoli e nei legami che vuoi avere con i tuoi cari.
Riparte il biasimo.

Così questo rapporto con il cibo che pur non parlandoti con parole ti comunica tantissimo, può penetrare in altre aree della tua vita, avvelenandole con una sensazione di insicurezza.

Per fortuna questo è un passaggio e non il finale della storia.
Perché tutti, nonostante accumuliamo esperienze di dolore e perdita, abbiamo anche la capacità innata di risollevarci.
Possiamo facilmente creare un legame emotivo con il cibo e in modo ugualmente veloce farlo diventare doloroso e compulsivo. Ma con supporto, con connessioni sane e finalmente con amore, questo legame possiamo anche allentarlo e alleggerirlo.

La motivazione dietro l’eccesso di cibo si basa sulla un principio di base buono: offrire a te stesso cura e nutrimento.
Nel tempo, questa abitudine di rivolgersi al cibo può diventare un legame emotivo che soddisfa i tuoi bisogni relazionali di connessione, appartenenza, espressione emotiva e sintonia .

Per questo motivo può sembrare impossibile attenersi alle tue buone intenzioni per mangiare in modo più consapevole. quindi non c’entra niente che non ci stai provando abbastanza o non ti impegni o “sei negativo”: al contrario i tuoi bisogni relazionali ed emotivi hanno preso l’abitudine di indicarti quel strada e tu stai usando quel pattern.
Non sei terribile, non sei pigro, non sei scarsamente motivato o indifferente al fatto che mangi troppo o male: sei sopraffatto! Stai cercando di prenderti cura di te stesso nell’unico modo che conosci. Prova a dirlo a te stesso.
Questo modo di offrirti compassione, per quanto sembri semplice, è molto potente…e curativo.

Io ti capisco. Capisco il ping pong tra depressione, eccesso di cibo e impietosità verso te stessa; capisco che ci si odia per li modo in cui il cibo finge di calmarti, e capisco la vergogna per il modo in cui ti senti continuamente sopraffatta e come in quei momenti sembri l’unica consolazione.
La strada che ti suggerisco di intraprendere è un percorso che ti insegni la gentilezza verso di te, perchè tu possa trovare altri modi per prenderti cura di te stessa un modo nuovo di guardare le tue vulnerabilità invece che respingerle, fartene beffa e combatterle.
Si può dare un senso al cibo.
Le intuizioni che abbiamo appreso dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby e dalla neurobiologia – ovvero lo studio di come le nostre relazioni di accudimento modellano e influenzano la nostra mente, il nostro corpo ed il funzionamento del nostro cervello – offrono molto aiuto e speranza per comportamenti compulsivi come col cibo. Quello che per anni è stato classificato come una “cattiva abitudine”, una scelta sbagliata o una mancanza di forza di volontà beh sicuramente il coaching nutrizionale ha il suo posto e certamente alle persone fa bene “saperne di più”, o apprendere i principi della nutrizione e le buone abitudini alimentari.

Ma secondo la mia esperienza, la maggior parte delle persone che mangiano troppo sanno che l’eccesso di cibo non li aiuta e spesso conoscono tonnellate di cose su nutrizione e salute.
Non è questione di conoscenza. È una questione dei meccanismi di percezione e reazione, di come incanaliamo quello che ci sta intorno, dei significati che gli attribuiamo e di come noi ci prendiamo cura dei nostri bisogni emotivi, relazionali e spirituali , di come ci rapportiamo alle nostre vulnerabilità, emozioni e al nostro bisogno di aiuto e sostegno.
Questa è l’intuizione che la psicologia dello sviluppo, la teoria dell’attaccamento, le neuroscienze e la ricerca sui traumi ci hanno fornito negli ultimi decenni. E questa intuizione può essere un potente alleato della guarigione nel tuo rapporto con il cibo.

La brutta notizia è che cercare di “aggiustare” da solo il tuo rapporto con “mamma cibo” non funziona..anzi può portarti a maggiore frustrazione e ansia..e quindi a legarti ancora di più al cibo..un circolo vizioso.
Come si fa a provare a curare da soli? i tentativi classici sono lettura di libri, letture online, video o altro, che ti aiutino a costruire un solido autoinganno sulla tua capacità di curartene e vorresti ti sollevassero dal doverti sentire vulnerabile a chiedere aiuto..e chiederlo a un professionista.

Quando capiamo come il legame e la relazione guariscono, qualcosa in noi si rilassa perchè ci rendiamo conto che non dobbiamo resistere, cercando di farcela da soli, e non dobbiamo controllare il nostro processo di guarigione o ‘eliminare’ l’eccesso di cibo non funziona perché va contro il nostro cablaggio umano, il nostro istinto di cercare supporto quando ci feriamo.
Ma se vieni aiutata a costruire o ri-costruire quell’utero in cui essere gestata e crescere – i legami e le relazioni che ti nutrono e ti sostengono veramente – il tuo cervello può far esperienza di uscire da un luogo protetto e trovarsi in un luogo sicuro.
Man mano che ti senti al sicuro e connesso, puoi crescere. Puoi uscire dalla lotta o dalla fuga e imparare a relazionarti in modo meno brusco, più gentile con lo stress e quindi con i tuoi bisogni, sentimenti, emozioni e difficoltà. Questa nuova relazione con te stessa, che va appresa con un giusto percorso, ti permetterà di guarire, di ammorbidire delicatamente e gradualmente, e teneramente l’abitudine a calmarti con il cibo.
Perché non devi lavorare direttamente sulle abitudini che vuoi cambiare: serve arrivare al tuo ciclo percettivo reattivo, e agire un cambiamento, partendo da nuovi legami, più forti e stabili.

[disclaimer: l’autrice non intende in alcun modo sostituire una diagnosi di disturbo dell’alimentazione che è prerogativa di un medico specializzato, e neanche esaurire l’intero argomento dei disturbi alimentari e delle problematiche cui sono legati. L’intento è solo spiegare un sistema di attaccamento compensazione che può mettersi in atto per colmare un vuoto emotivo e un bisogno di legame (bonding). Gli esseri umani hanno naturalmente bisogno di legami, questo di per se non rappresenta un disagio. Ma qualunque legame instaurato che rappresenti una situazione di disagio reale o percepito tale, merita di essere presa in carico e supportato verso una proficua soluzione.]