“Amami”, disse il Re.
“Ti amo”, rispose la Regina.
“No. Tu mi ami a modo tuo.”, ribatté il Re.
“E come potrei mai amarti?”, chiese la Regina.
“Amami a modo mio!”, rispose il Re.
“E com’è amarti a modo tuo?”, domandò allora la Regina.
“È amarmi in modo che io possa sentirmi amato come dico io.”
“Perché? Come ti amo non ti senti amato?”
“Sento che mi ami in un modo che fa sentire amata piu te che me.”
“Ed è sbagliato?”
“Non è quello che voglio.”
“E come dovrei amarti allora per farti sentire amato?“

Il Re ci pensò. Per tre giorni, immobile, ci pensò. Poi, vagando per il Regno senza mangiare e senza bere, per altri tre giorni ci pensò.

Dopo aver abbastanza pensato tornò. 

Il Re era così entusiasta delle sue conclusioni che iniziò ad urlarle già dall’ingresso al Castello, continuando mentre lo attraversava tutto per raggiungere esausto ed esaltato le stanze della consorte.

“Regina mia, è semplice, come ho fatto a non arrivarci prima: io, tuo Re ti ordino di amarmi a modo mio, che è l’unico modo possibile; altri modi, compreso il tuo, non sono amore, quindi è come non amare affatto! Regina mia, per il potere conferitomi io ti ordino di amarmi nell’unico modo possibile, che è il mio! Ogni altra forma d’amore non contemplato sarà punita severamente, con sanzioni pecuniarie ed emotive; ogni altro modo di amare che non sia il mio verrà severamente punito con l’indifferenza, col silenzio giudicante, col senso di colpa, con l’indolenza affettiva, con lo sguardo disprezzante, col sarcasmo crudele, col ricatto materico, con la cieca gelosia, con l’accanimento terapeutico, col capriccio estenuante, con la critica costante, con l’ottusa paranoia, in definitiva, financo con la pena capitale dell’induzione inesorabile al tradimento di Sé!”

Il Re era talmente esausto ed esaltato nel suo decretare che non si accorse.
La Regina non c’era più. 

Sentendo che il suo amore sovversivo avrebbe creato divisione, malcontento, rabbia e paura di nefasti presagi, lasciò quel reame a cui comprese di non essere mai veramente appartenuta. E, nell’integrità di Sé, fece di quell’ “amore a modo suo” la prima pietra a fondamento di un nuovo libero Regno.

(scritta da V. Infuso)

Eppure… Cosa c’è di sbagliato nel desiderare essere amati in un modo che per te sia comprensibile? in un modo che lenisca le tue ferite, che non ti costringa a fare uno sforzo per spiegarti che anche se non lo capisci e se non ti arriva è amore? In effetti nulla.

Il problema sorge quando chiedi a una persona specifica di snaturare se stessa per offrirti quello di cui tu puoi nutrirti. Che ha lo stesso senso di andare in pescheria a chiedere una bistecca di manzo.. Strano che riusciamo a farlo..

Ci sono cose cui è possibile rinunciare, ci sono cose che è possibile comprendere senza che questo richieda uno sforzo emotivo troppo grande. Ci sono modalità cui possiamo abituarci purchè siano quei fatti che supportano le parole… a modo suo…ma coerente rispetto a quel che dice. In qualunque modo ci venga comunicata la premura, l’attenzione nei nostri riguardi, possiamo accettarla ed accoglierla. Ma è doveroso, per rispetto a noi stessi e all’altro, non chiedere di snaturarsi, nè a lui nè a noi, e se non ci sentiamo amati, è il caso che ci rivolgiamo altrove.

L’attenzione è una carezza costante che ti permette di non sentirti mai solo.

Essa è figlia della presenza (reale o percepita)
— perché esserci è l’unico modo di amare davvero.